Fringe benefit lavoratori con figli a carico

Il decreto lavoro, Dl 48/2023, ha innalzato, per il solo anno d’imposta 2023, il limite di non imponibilità dei fringe benefit erogati ai lavoratori dipendenti con figli a carico, al valore di € 3.000.

I fringe benefit sono i beni ceduti o servizi prestati che l’azienda compra direttamente per poi destinarli ai propri dipendenti.  Tra le somme che rientrano tra i fringe benefit troviamo anche le somme erogate o rimborsate al dipendente per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.

L’ampliamento del limite si applica, quindi, esclusivamente ai lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati.

Per tutti gli altri lavoratori la soglia di non imponibilità resta fissata al valore ordinario di € 258,23.

Il lavoratore che voglia beneficiare di tale misura è tenuto a consegnare al datore di lavoro una dichiarazione di spettanza con indicazione del codice fiscale dei figli.

Mentre il datore di lavoro deve inviare una informativa preventiva alle RSU in caso siano costituite.

È utile ricordare che la soglia di non imponibilità non è una franchigia, pertanto al superamento dei limiti menzionati sarà assoggettato a imposizione fiscale e a contribuzione l’intero importo corrisposto nel periodo d’imposta e non solo la parte eccedente.

Per gli addetti ai lavori è importante ricordare che all’atto del conguaglio da effettuare con la busta paga di dicembre 2023 il datore di lavoro è tenuto a considerare anche le somme e/o valori eventualmente corrisposti al lavoratore da precedenti datori di lavoro nel medesimo periodo d’imposta.

Gli aspetti contributivi

Per effetto dell’armonizzazione delle basi imponibili, oltre a non concorrere alla formazione del reddito ai fini fiscali, le somme in questione dovrebbero essere escluse anche dalla base imponibile contributiva.
Dovrebbe perché, purtroppo per gli addetti ai lavori, per come è stata scritta la legge permangono dei dubbi se tale esenzione si applica anche sulla base contributiva.  Occorre un chiarimento da parte del legislatore o da parte dell’istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) al fine di conoscere l’esatta portata della norma e di escludere, pertanto, di trovarsi a dover sostenere costi non preventivati.

Gli effetti sulla busta paga

Innanzitutto ricordiamo che il fringe benefit non è un bonus pagato dallo stato.

Quindi seppur esente da imponibile fiscale e (se confermato) contributivo rappresenta comunque una voce di costo aziendale che, seppur certamente può essere inserita in bilancio, non può essere recuperata in F24.

Il vantaggio indubbio di erogare un fringe benefit al dipendente è che non c’è il cuneo fiscale/contributivo.

Ovvero se l’azienda eroga ad un proprio dipendente, avente i requisiti di cui sopra, un bene o servizio con un valore equivalente di € 3.000 ha un costo effettivo di € 3.000. Non un solo euro in più.

Viceversa se volesse dare un netto di € 3.000 ad un dipendente con una retribuzione lorda annua (ad esempio) di € 30.000 avrebbe un cuneo fiscale/contributivo di circa il 55% e quindi avere un costo totale di circa € 7.650! Quindi pagherebbe tra contributi e tasse ben 4.650 euro in più rispetto a quanto “intascherebbe” il dipendente in busta paga.

Fatta questa importante premessa in busta paga il fringe benefit è evidenziato solo come voce descrittiva, infatti non incide sul netto in busta paga essendo appunto un bene o un servizio goduto “materialmente” dal lavoratore.

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